GRANDE BERGAMO
Nel segno delle kantutitas – il tipico fiore a campanula delIa Bolivia – opera l’omonima associazione di Scanzorosciate che ha messo in campo un progetto di solidarietà rivolto ai bambini orfani o abbandonati e ai figli delle famiglie più povere della Cordigliera Andina. Un progetto di adozioni a distanza che ha permesso di tessere una rete di assistenza per 500 piccoli boliviani, che ora possono crescere, frequentare le scuole, essere curati dai medici dell’ospedale Giovanni XXIII di La Paz con una spesa annuale di 162 euro stanziata dai genitori adottivi. I.:associazione «Kantutitas» ha recentemente ottenuto il riconoscimento Onlus {Organizzazioni non lucrative di utilità sociale} ed ha costituito un proprio direttivo di 19 componenti guidati dal presidente don Giacomo Cumini e dalla vicepresidente Veronica Salvi, mentre Lucia Magri funge da segretaria.
,L’associazione è stata fondata nel 1991 a Sovere da don Antonio Caglioni, parroco di Tribulina, che per 18 anni è stato missionario in Bolivia ed ha lavorato fianco a
fianco con le famiglie dei minatori delIa Cordigliera delle tre Croci, tra La Paz e Cochabamba. In questi 15 anni di operato il sodalizio ha messo in campo numerose iniziative per raccogliere fQndi e finanziare nuovi progetti di sostegno alle famiglie, per lo sviluppo dell’alimentazione, il miglioramento delle condizioni igieniche sanitarie, lavorative e scolastiche e per incentivare l’allevamento di animali, Progetti che vengono seguiti in Bolivia da don Eugenio ScarpeIIini, amministratore dell’ospedale Giovanni XXIII realizzato a La Paz dalla diocesi di Bergamo. Un ponte di solidarietà costruito mattone dopo mattone. «I bambini vengono visitati ogni tre mesi da un missionario, che controlla che frequentino la scuola, ehe stiano bene – racconta il presidente dell’associazione don Giacomo Cumini.
Periodicamente vengono anche visitati dai medici dell’ospedale Giovanni XXIII a La Paz grazie a una convenzione stipulata con la nostra associazione. Parallelamente vengono informati i genitori adottivi del risultato di questi controlli, creando una rete d’informazione capillare», Don Mjchele Rota, curato delIa parrocchia di Seria te, fa parte del direttivo delI’associazione e per cinque anni è stato missionario in Bolivia e ha coordinato il progetto dell’associazione, diventando il principale referente. «Ogni tre mesi andavo nella zona delle miniere – ricorda don Mjchele Rota -, incontravo le famiglie e venivo a conoscenza dei reali problemi e delI’estrema povertà in cui vivono, del duro lavoro dei minatori e degli alti rischi di mortalità nelle miniere. Ogni famiglia ha quattro o cinque figli da sfamare e non ci sono lavori alternativi che possano permettere di uscire dall’indigenza». Patrizia Ravasio, 26 anni di Tribulina, rientrata da Condebamba dove lavora da due anni come volontaria nella missione di don Eugenio Coter a gennaio ha ripreso di nuovo l’aereo per riabbracciare i 200 bimbi boliviani della missione. “Mi occupo soprattutto di dare loro da mangiare racconta Patrizia -. Poi faccio fare i compiti, li faccio giocare e li aiuto in tutto ciòche hanno bisogno. Per me la maggiore difficoltà è stata quella di capire la diversa concezione di famiglia che hanno in Bolivia rispetto alIa nostra. La mancanza del significato di casa come aggregazione e unione è stato per me difficile da accettare». Un altro importante progetto che l’associazione sta proponendo alle comunità boliviane è l’allevamento di animali. L’associazione finanzia l’acquisto di mucche che le famiglie s’impegnano ad allevare per avere latte fresco.
P.R